Showroom Selezione, San Giovanni Lupatoto 2011
di Nadia Melotti
Le opere di Maria Teresa Cazzadori si presentano come spazi sensibili alla superficie; sono luoghi ricchi di segni, intagli, improvvisazioni materiche. Sono anche corpi forniti di messaggi in codice, dove la scrittura si fa criptica e al contempo universale. L’artista inizia dal bianco. Fa tabula rasa. Tabula rasa significa letteralmente “tavola raschiata”, con riferimento alle tavolette di cera incise con segni, utilizzate nell’antichità. Il concetto, già impiegato da Eschilo e da Platone, indica ogni condizione in cui la coscienza sia priva di qualsivoglia conoscenza innata. In questa innocenza del sensibile, l’artista accoglie e trasferisce tutte le suggestioni che emergono dall’inconscio sotto forma di codici figurativi non alfabetici. La superficie si presenta come un corpo espressivo, una pelle che rileva un transito che pulsa di simboli e lascia delle tracce. Sono universi che emergono da superfici a muro con graffiti arcaici che testimoniano un sapere antico celato nella materia. La relazione dei segni, con strutture geometriche costruite con diversi materiali di scarto, o semplicemente assunti come iperbole cromatica, costruisce un rapporto tra staticità e movimento. Nell’opera Impronte, l’infanzia del segno esordisce immersa nella materia. Il soliloquio espressivo è interrotto unicamente dal frammento di un triangolo imperfetto, da una linea irregolare a filo di ferro, e da un moto ondulatorio che struttura lo spazio. L’immersione nell’inizio, come un vagito, accenna alla presenza di un paesaggio. Ci si perde nell’oblio del bianco, ricco di speranza e possibilità: “Il silenzio gravido del bianco: un silenzio che improvvisamente riusciamo a comprendere. La giovinezza del nulla, o meglio un nulla prima dell’origine, prima della nascita” (Kandinsky). In Parti oscure della mente il bianco dialoga con il nero. “Come un nulla senza possibilità; come la morte del nulla dopo che il sole si è spento, come un eterno silenzio senza futuro e senza speranza, risuona dentro di noi il nero” (Kandinsky). La lotta tra buio e luce si manifesta in una dialettica che le comprende, segnata da una simmetria che si sbilancia alla presenza di una pietra-cuore. Le opere di Maria Teresa Cazzadori sono anche altro da questo. Cosa ci vuoi dire l’artista ponendo il volto enigmatico di Leonardo in trasparenza, celato sotto una garza scura? Dubita forse di questa idealistica quadratura del cerchio e rimanda l’uomo a una esistenza costretta tra ombre e incertezze? In Energia 1 questa problematica trova risposta nell’umana incompiutezza del soggetto che non può misurare il proprio sguardo contemporaneamente verso l’uomo e verso Dio. L’uomo Vitruviano, conosciuto come il canone di Leonardo, attraverso un’azione estetica dell’artista, perde i suoi paradigmi. Non più un approfondimento teorico delle proporzioni del corpo umano, con tanto di tesi scritta, ma la trasformazione su un piano astratto di forme e segni con nuove priorità. L’intelligibile perfezione si trasforma in un’ombra che riporta l’uomo nella condizione di inconsapevolezza e sofferenza. A conferma, basti osservare le mani con punte di color rosso che non esistono nell’originale e il triangolo che punta verso il centro dell’uomo, il suo ombelico. Se il punto di partenza è l’uomo inconsapevole del vero bene celato nell’ombra, le cui memorie riemergono frammentate dalla storia, il prosieguo volge ancora una volta alla ricerca di segni che strutturano la sua presenza nel mondo. Molte delle opere sono realizzate con materiali di scarto che hanno già una loro storia. L’artista recupera queste forme le cui superfici, rese pittoriche dal tempo, si dispongono in astrattismi geometrici. Un universo, quello di Maria Teresa Cazzadori, capace di unire passato e presente nella primaria necessità di codificare, attraverso questo flusso libero della coscienza, dei segni, delle conflittualità che stanno all’origine della scrittura e della forma. Un’oscillazione tra caos e cosmo, tra ordine e disordine, sembra riassumere quella tensione primaria attraverso la quale si rivela l’esistente e sulla quale l’artista ritrova le antiche armonie dell’arte.