di Vera Meneguzzo, 2008
“Il fascino della ricerca”. Un motto coniato per identificare se stessa, la sua esplorazione nel recinto mai chiuso dell’arte, il porsi autobiografico attraverso un linguaggio sempre più scarnificato, icastico, emozionante, severo. La Cazzadori viene da un figurativo accettato solo come esercizio sviluppatosi in diverse fasi contrassegnate da successivi passaggi in cui era ancora imbrigliata dalle necessità di un segno riferito alla sostanza; dal colore ossequiente alla legge delle concordanze e dei contrasti; da un paziente lavoro condotto sui materiali plastici della ceramica per cavarne, poi, i segreti da trasferire nella pittura. Una lunga maturazione che produce, oggi, ragguardevoli risultati, per opere che paiono scoprirsi sotto la pressione leggera dei polpastrelli che scostano la polvere per lasciare intravvedere soltanto segnali. Affiora, allora, un disegno puramente mentale, fatto di toni parsimoniosi, di tinte indecifrate, sul percorso materico e gessoso simile allo scheletro minimo di un proteo primordiale. Oppure al sistema della genesi su cui sono costruite forme e suoni. O al progetto di un sogno meravigliosamente organizzato. Per la Cazzadori, ciò che conta, non é l’immagine ma la sua traccia. Un realizzare sulla tela la sensazione forte di una presenza, di un ricordo, di un brivido non chiaramente identificati, ma di cui, nel cuore e nella mente, sono rimasti impressi emozioni e parvenze. Un cancello chiuso su una strada in collina, un muro segnato dalle rughe del tempo trascorso, un profilo umano intravisto per un attimo e mai dimenticato. Il tutto sostenuto da assonanze numeriche, fatte di equilibri e di esatte soluzioni, in parallelo alle eterne armonie matematiche e geometriche del mondo.